21 novembre 2010

Miles Davis: Bitches Brew*.

di Roberto Barahona




Il jazz è sempre stato una musica di fusione. Sin dai suoi esordi alla fine del secolo XIX, il jazz si sviluppa e progredisce senza grandi pretese mescolando con gran disinvoltura, tra vari generi, la musica popolare nord-americana, il ritmo cubano, la samba brasiliana, il tango argentino. Nella sua espressione contemporanea, il jazz mantiene le impronte lasciate da questi stili.
Senza dubbio, il concetto di fusione riemerge in modo più evidente e rilevante verso la fine del decennio degli anni '60 e specialmente con Miles Davis e il suo disco Bitches Brew. Quest'album è il risultato di un insieme di idee che si erano venute formando durante gli anni e di una brusca rottura con il passato. Davis aveva già usato tastiere elettriche, chitarre e ritmi rock nonché tecniche di post produzione in studio. (In a Silent Way e Filles de Kilimanjaro).
In Bitches Brew usa tutti questi elementi e dà vita ad un album di improvvisazioni. Invece di preoccuparsi di creare armonie sofisticate o esperimenti strutturali, Miles focalizza la sua opera in semplici melodie su ripetitivi e ipnotici accompagnamenti ritmici. Nella sua autobiografia Miles racconta:
"Io dirigevo come un maestro una volta cominciato a suonare, e buttavo giù un po' di musica o dicevo a questo e a quello di suonare le cose differenti che cominciavo a sentire mano a mano che la musica cresceva, che diventava un insieme. Così questa registrazione fu uno sviluppo del processo creativo, una composizione vivente. Fu come una fuga, un motivo, per la quale tutti quanti davamo del nostro. Dopo che si era ampliata fino a un certo punto, dicevo a un certo musicista di entrare e fare qualcos'altro".
Una jam session magistrale.
Il brano più interessante, Bitches Brew, dura 26 minuti: è una sintesi del disco. Due batterie e due contrabbassi scandiscono un ritmo marcato, permettendo a Miles di creare un assolo eccezionale. Il tema lo avevano provato la notte precedente e fu il primo ad essere registrato. Ci fa capire il modo nel quale Davis dirige e influenza i musicisti mentre improvvisano. Un esempio lo troviamo al settimo minuto. Il gruppo apparentemente ha perso il filo dell'improvvisazione ed è sul punto di andare in pezzi. Miles dice: Keep it like that!, qualche secondo dopo, quando il tema recupera brio, si rivolge a MacLaughlin: John!. Questi prende in mano la situazione e il tema rivive.
In Bitches Brew vi fu un brillante e innovativo lavoro di post produzione ad opera di Teo Macero che, insieme a Miles, ma spesso anche da solo, sceglieva i brani, li editava, arrivando a creare da tutto quel materiale il prodotto finale. Usò generatori d'eco, reverbero e loops o ripetizioni per allungare certi pezzi di contorno. In Pharaoh's Dance di Zawinul, un tema con atmosfere orientali e un ritmo quasi incomprensibile, Davis e Shorter creano un mantra jazzistico; il piano Rhodes di Zawinul è lugubre. Anche McLaughlin e Macero partecipano all'improvvisazione. Tuttavia il brano che conosciamo non ha niente a che vedere con la registrazione originale. Macero tagliò e ricucì il tema in 19 punti; le sue annotazioni, che qui si riportano, ci indicano dove e come ha operato i tagli:

Parte 1: 0:10 Figura # 1 Loop A; 0:15 Vamp #1; 0:46 Figura #2; 0:56 Torna alla parte b; 1:29; 1:39 torna al principio, Loop A-1; 1:51 pedale B; 2.22 Loop B; 2:32 entra Miles -2:54; 3:31 Miles ritorna; 5:40 Maupin al clarinetto basso; 7:55 Vamp #1 Loop;

Parte 2 - statement 1
8:29 Parte II introduzione; 8:42 tromba con eco, Loop; 8:44 Parte II introduzione, Loop; 8:52 frase ritmica di due misure; 8:54 quattro Loops della frase, Loop; 8:59 vamp Parts 1 e 2, solo di Miles; 11:48 solo di Shorter; 12:53 solo di McLaughlin;

Parte 2 - statement 2
15:58 Part 2 vamp 2; 16:38 Miles entra con la melodia; 20:02 il tema si conclude.

Le vendite del LP durante il primo anno raggiunsero le 400 mila copie, fatto senza precedenti per Davis. Il suo album più venduto sino ad allora non aveva superato le 100 mila copie. Alcuni critici accusarono Davis di essersi venduto al mercato pop. Senza dubbio la cosa straordinaria in Bitches Brew è che Miles in nessun momento imita le tendenze del pop o del rock dell'epoca. Tutti i brani del disco doppio originale durano oltre 10 minuti, eccetto John McLaughlin che dura poco più di 4 minuti. Questo fatto rese impossibile la trasmissione attraverso le radio pop. Non ci sono arrangiamenti, melodie, ritmi ballabili o canzoni con testi facili da memorizzare. Con Bitches Brew Miles portò tra il suo pubblico orde di fans del rock, ma perse anche il consenso dei suoi più fedeli estimatori. Il nuovo linguaggio musicale e la strumentazione elettronica che Miles introdusse non li interessò e lo abbandonarono definitivamente.
Dopo quasi 35 anni, Bitches Brew rimane un'opera solida che merita il rispetto di critici ed appassionati. Si può dire molto di questa musica, ma preferisco che parli da sola. Ho avuto molte occasioni di ascoltare le diverse edizioni di Bitches Brew, e mentre ascolto mi vengono in mente tante immagini e idee. Ogni volta è differente, scopro sempre qualcosa di nuovo e di affascinante.

* Bitches Brew è stato pubblicato in tre formati, l'originale in un doppio LP e a metà degli anni 80 un doppio CD; entrambi con le sessioni di agosto 1969. Nel 1998 è stato pubblicato un album di quattro CD con outtakes e materiali delle sessioni di novembre 1969 e gennaio e febbraio 1970. Esiste anche un CD singolo, con 4 esempi brevi delle sessioni originali, che è stato principalmente distribuito alle stazioni radio.


Roberto Barahona. Miles Davis: Bitches Brew in Tomajazz, Información sobre el jazz en la Red, a cura di José Francisco Tapíz, 20 feb. 2003. La traduzione dallo spagnolo è di Paolo Pavia.

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